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Luigi Ceccarelli

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Lus – Recensioni

Mar , 27
Lus – Recensioni

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La voce di Lus, una musica estatica dal cuore di tenebra

Se una rap­pre­sen­ta­zione sce­nica viene defi­nita «con­certo» non ci dovreb­bero essere dubbi. Si tratta di un evento musi­cale. Però non è così sem­plice. La nuova ver­sione di Lus, spet­ta­colo che il Tea­tro delle Albe ha pro­po­sto per le prima volta nel corso degli anni ’90, pre­vede la voce reci­tante di Ermanna Mon­ta­nari nel mezzo di un ric­chis­simo tes­suto sonoro ela­bo­rato da Luigi Cec­ca­relli all’elettronica (dal vivo) e da Daniele Roc­cato al con­trab­basso. Voce reci­tante? Anche qui la defi­ni­zione è un azzardo: appar­tiene inte­gral­mente al voca­bo­la­rio della musica e non a quello del tea­tro. E poi l’infernale/estremo/estatico mono­logo di Mon­ta­nari sul testo in lin­gua roma­gnola di Nevio Spa­doni è tea­tro o musica? La rispo­sta sarà discussa ma la diamo lo stesso: è musica per­ché la sua auto­no­mia di per­for­mance della reci­ta­zione si man­tiene e si annulla nello stesso tempo nel pro­ce­dere delle azioni sonore.
Ne viene avvolto, ne deter­mina a sua volta gli scarti, i pas­saggi impre­vi­sti. Ma mette in comune il suo «spe­ci­fico» con quello musi­cale dei due part­ner di Ermanna, che sono sul palco con lei nella sala del Tea­tro delle Pas­sioni di Modena.
L’avvio è un «osti­nato» in con­ti­nuo cre­scendo di Roc­cato ripreso, modi­fi­cato, tra­sfor­mato dalle «mac­chine vir­tuose» di Cec­ca­relli. Musica dal cuore di tene­bra che man mano diventa materica-passionale. Sarà que­sta la sua sem­bianza per tutto il tempo dello spet­ta­colo. Roc­cato parte ete­reo e diviene denso, incal­zante, come un pre­sa­gio di lace­ra­zioni e con­flitti, Cec­ca­relli afferra al volo i suoni del con­trab­basso (anch’essi ampli­fi­cati e modi­fi­cati tec­no­lo­gi­ca­mente) e ne ricava alcune cor­tine di suoni dram­ma­ti­cis­sime, bagliori metal­lici, lampi gra­vidi di tra­ge­dia. A dif­fe­renza delle per­for­man­ces improv­vi­sate in duo, ormai un clas­sico nel pano­rama musi­cale odierno, i suoni di Roc­cato e Cec­ca­relli si som­mano, fanno massa. Que­sto, forse, riduce la spa­zia­liz­za­zione che nella musica con­tem­po­ra­nea è in genere tanto desi­de­rata, ma per­mette all’insieme una for­tis­sima con­cen­tra­zione emozionale.

È spe­ciale, adatta a una trance ter­rosa — e la musica di Cec­ca­relli e Roc­cato tace per pochi minuti — l’entrata di Mon­ta­nari, la Belda del poe­metto di Spa­doni. Una veg­gente, una gua­ri­trice, una strega, figlia ven­di­ca­tiva di quell’Armida che nella cam­pa­gna roma­gnola di primo ‘900 fu dis­sep­pel­lita per ordine di un prete infame e ri-sepolta in terra scon­sa­crata per­ché «put­tana». Vesti­tino bianco lacero mac­chiato di stri­sce rosse (è san­gue vero della costu­mi­sta Mar­ghe­rita Man­zelli).
Una pic­cola falce in mano, ele­mento sce­nico minimo un po’ ambi­guo, a dire il vero, per­ché Belda è in grado di por­tare la morte, e infatti col suo male­fi­cio pro­voca la fine stra­ziante dell’orrido prete, ma è anche una ribelle con­tro l’ipocrisia e il per­be­ni­smo­che chiede, certo inu­til­mente, al Dio-che-è-morto una pos­si­bile uscita nella luce, la Lus, un riscatto, una rina­scita dei male­detti dal potere.
«Mi è diven­tato stretto que­sto vestito/mi è diven­tato stretto/e più passa il tempo/e più que­sta matassa si ingarbuglia/e allora viene quel giorno/che uno si stanca/si lega i lacci delle scarpe/e va/corre attra­verso strade/stropicciate dalla nebbia/per cer­care una luce/un frullo». Se non si è roma­gnoli da molte gene­ra­zioni non si capi­sce quasi niente delle parole del poema. I sot­to­ti­toli in ita­liano prov­ve­dono. Ma que­sta lin­gua arcana, mate­ria di un par­lato, di un gri­dato, di un sussurrato/perso che dia­loga con gli stru­menti, acu­stici e sin­te­tici che ne detta certe cur­va­ture, è la lingua-tipo della musica radi­cale, suona come una lin­gua fatta di fonemi, tali risul­tano all’ascolto i versi di Spa­doni messi in musica in que­sto sin­go­lare «con­certo» per tre inter­preti orche­strati dal regi­sta Marco Martinelli.
Ermanna Mon­ta­nari è come un’eroina di Artaud, forse, ma è anche una Albert Ayler, una Peter Brö­tz­mann, dall’urlo delle invet­tive al fre­mito inquieto lirico. Le mera­vi­glie musi­cali sono tante. Quando, per esem­pio, i due musici (in senso stretto, Ermanna lo è d’elezione) escono fuori da un lungo epi­so­dio di caos demo­niaco con un con­ti­nuum modu­lante, sof­fuso, incantato.

Mario Gamba, Il Manifesto 28/1/2015

Maghe, magìe e dicerie di paese

Sono – siamo – in molti a ricordare l’esperienza traumatica ed esaltante de L’isola di Alcina, il Concerto per corno e voce romagnola su un testo di Nevio Spadoni che, nel 2000 a Venezia, impose con prepotenza all’attenzione quella mezcla portentosa incentrata sull’arte di Ermanna Montanari, con quella sua “scultura verbale” che travalica la mera recitazione, inscindibilmente fusa all’invenzione sonora di Luigi Ceccarelli e all’immaginario registico di Marco Martinelli. Quella prodigiosa lega alchemica torna oggi, e di nuovo quel magnetismo si sprigiona e inchioda alla sedia lo spettatore, mentre la voce, la musica e la scena danno vita a una drammaturgia soggiogante in cui quasi non hai bisogno di capire le parole: teatro musicale allo stato puro, quintessenziale, che si comunica, emoziona, percuote nella sua interezza. Il nuovo capitolo si intitola Luṣ, cioè in romagnolo, ma più precisamente in dialetto ravennate: Luce. Ermanna Montanari e Luigi Ceccarelli, complice la narrazione di Spadoni, ritrovano in questa rovente sinergia una delle loro dimensioni privilegiate. Su tutto l’incessante, mesmerico potere della creatura femminile: magica, demonica e reietta scolpita attraverso una modulazione inesauribile di toni e registri vocali e discorsivi, dall’intimo al furioso, dal tremito alla ferocia, dallo struggente al sulfureo. Ieri Alcina, oggi Balda, anzi «la Bêlda, la fiôla dla pôra Armida» e dunque un filo di maghe e magìe, fra mitologia e diceria di paese, metamorfosi allegorica di drammi della violenza e dell’emarginazione di cui è piena la cultura (e la vita) popolare. La voce di Ermanna

Montanari plasma, trasfigura la materia verbale in un’autentica partitura dalle agogiche, dinamiche e screziature inenarrabili.
Ed è su questa partitura invisibile e prepotente che Luigi Ceccarelli innesta e intreccia i suoi suoni, anzi scusate, la sua musica – perché di questo si tratta – esaltandola in un connubio autentico, dove la musica non esibisce narcisisticamente se stessa (quante associazioni musica-parola, oggi come ieri, ricadono in questo sfoggio peggio che sterile: deleterio!) ma si insinua, riveste, potenzia, illumina con dedizione totale. In Alcina, la materia prima di Ceccarelli era il suono di un corno trattato elettronicamente, in Luṣ, c’è un ulteriore valore aggiunto: l’eccellente Daniele Roccato, presente in scena col suo contrabbasso, la cui prestanza strumentale entra nel diabolico alambicco del live electronics sapientemente governato da Ceccarelli, amalgamandosi alla materia sonora del nastro preregistrato. La Bêlda, figlia della povera Armida, maga, fattucchiera, prostituta, assassina, folle, ma soprattutto vittima del pregiudizio e del più abietto perbenismo, racconta, racconta come un torrente, ora in secca, ora schiumante vendetta. Nell’amplesso fra questa ancestrale partitura vocale e la fascinosa, tecnologica, virtuosistica veste musicale di Ceccarelli e Roccato, il teatro musicale scrive un suo nuovo ammirevole capitolo.

Giordano Montecchi – Amadeus Online
http://www.amadeusonline.net/recensioni-spettacoli/2015/maghe-magie-e-dicerie-di-paese#sthash.iFyyB94N.dpuf

Il sangue della strega

…….. Lo spazio vuoto, sormontato da uno schermo su cui si materializzerà la scritta Lus, vergata col sangue (vero) dall’artista visiva Margherita Manzelli autrice anche degli acquerelli proiettati su di esso, e dell’inquietante costume della protagonista è scandito da tre pedane: sulla prima, a destra del pubblico, prenderà posto il contrabbassista Daniele Roccato, sulla terza, a sinistra della scena, si sistemerà il compositore Luigi Ceccarelli coi computer attraverso i quali trasforma in tempo reale i suoni e la voce in lancinanti sequenze elettroniche. Sulla pedana centrale, che ha l’emblematica forma di un pianoforte, di un bianco abbagliante come gli altri due basamenti a sottolineare dall’inizio la sostanza prettamente musicale del lavoro dell’attrice, andrà a sistemarsi Ermanna Montanari. ……..
A ogni istante la recitazione fa tutt’uno col corpo, con la musica, con le immagini di volti tormentati che appaiono sullo schermo. È, quella di tutti e tre i partecipanti, lucidamente orchestrati da Martinelli, una performance straordinaria, capace di infiammare il pubblico del Teatro delle Passioni di Modena …….

Renato Palazzi, Il Sole 24 ore 16/2/15

Belda e il Male

…… Lus è un concerto: l’attrice dialoga con il contrabbasso di Daniele Roccato, rombo, sfregamento ctonio, sommovimento di lave, distillato, rovesciato, moltiplicato dal live electronics di Luigi Ceccarelli. Diventa percussione, pizzico, ossessione, alone, pugno, sogno, incubo. La voce e i suoni dialogano con immagini di Margherita Manzelli, grumi di sangue rappreso, grovigli, pupille che osservano i nostri malocchi, nasi e occhi sbozzati da volti come imbiancati di bende. Rapisce, sprofonda questo spettacolo formidabile, verso il finale distendersi dolente del contrabbasso in dolce melodia, appena minacciata da elettrici echi, e Bélda, in azzurro controluce, prende su di sé i mali di tutti, lei, l’ultima, in cerca di rugiada del mattino da spalmare sugli occhi, prima di diventare ciechi. In cerca di luce. Abbandonati.

Massimo Marino – Left – 30 Gennaio 2015

Lus. Uno spettacolo di teatro, musica e arte

—– In questo eccezionale concerto tratto da un poemetto in lingua romagnola di Nevio Spadoni e diretto da Marco Martinelli, Ermanna Montanari dialoga con il contrabbasso di Daniele Roccato e i live electronics di Luigi Ceccarelli. Disorienta definitivamente se stessa. Con la voce invera, agisce, senza raccontarla, la distruzione radicale dell’idea di soggetto, la frantumazione del suo centro, la ricerca, dentro le ceneri di sé, di un centro altro, viscerale, eterno. I due musicisti esplorano questa dissolvenza, e la rifrangono, la moltiplicano, la sostanziano con una tempesta di colpi e crolli, echi, dissonanze, riverberi, lame affilate. L’ostinato dell’ouverture di Roccato ci precipita in un non luogo, straordinario, inquietante; Ceccarelli raccoglie ogni incantesimo, ogni presagio, ogni rintocco dal profondo, e lo rilancia; destruttura il paesaggio psichico di Bêlda, lo smonta, lo rivela. I suoni – e tra questi le sue parole romagnole, crudeli, reali e soprannaturali, terrigne e misteriose – la esplorano, e insieme la toccano, letteralmente, come spilli che lei stessa cova dentro la gola, e la testa, e che a lei tornano per ferirla ……

Rossella Menna – Artribune – 17 febbraio 2015

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