FAUST – una ricerca sul linguaggio dell’Opera di Pechino
testo di Li Meini basato sul dramma “Faust: prima parte” di Johann Wolfgang Goethe
traduzione Fabrizio Massini
progetto e regia di Anna Peschke
aiuto regista Xu Mengke
musiche
Luigi Ceccarelli
Alessandro Cipriani
Chen Xiaoman
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in scena
Liu Dake – Faust
Xu Mengke – Valentino
Wang Lu – Mefistofele
Zhang Jiachun – Margherita
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musicisti
Vincenzo Core (chitarra elettrica ed elaborazione elettronica)
Wang Jihui (jinghu)
Niu LuLu (gong)
Laura Mancini (percussioni)
Ju Meng (yueqin)
Giacomo Piermatti (contrabbasso)
Wang Xi (bangu)
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scene Anna Peschke
luci Tommaso Checcucci
costumi Akuan
trucco Li Meng
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direttore tecnico Robert John Resteghini,
capo macchinista Massimo Abbondanza,
macchinista Alfonso Pintabuono,
capo elettricista Tommaso Checcucci,
fonici Alberto Tranchida, Filippo Cassani, Giampiero Berti
sarta Li Jian
Elementi scenici costruiti nel laboratorio di Emilia Romagna Teatro da Gioacchino Gramolini Emilia Romagna Teatro Fondazione / China National Peking Opera Company
Si ringrazia per la collaborazione Confucio Institute
rappresentazioni
8 -14 ottobre 2015 – Prima assoluta – Bologna, Arena del Sole, VIE Festival 2015
20 – 25 ottobre 2015 – Modena, Teatro delle Passioni, VIE Festival 201
12, 13 novembre 2015 – Pechino (Cina), Tsinghua University, Meng Minwei Concert Hall
3-4 Agosto 2016 – Pachino (Cina), Teatro Mi Lanfang
16 ottobre 2016 –2016 Shanghai (Cina), R.A.W! – China Shanghai International Arts Festival, Shanghai Yi Fu Theatre
3 – 13 novembre 2016, Modena, Teatro delle Passioni
17 – 20 novembre 2016, Ravenna, Teatro Alighieri
22 novembre 2016, Piacenza, Teatro Municipale
24-27 novembre 2016, Cesena, Teatro Bonci
30 novembre – 4 dicembre 2016, Cagliari, Teatro Massimo.
28 febbraio 1 marzo 2017, Vignola, Teatro Ermanno Fabbri
3-5 marzo 2017, Parma, Teatro2
7-12 marzo 2017, Roma, Teatro Argentina
16-19 marzo 2017, Teatro Metastasio, Prato
21-26 marzo 2017, Milano, Teatro Elfo Puccini
15-16 Maggio 2017, Wiesbaden (Germania), Staatstheater
21 Maggio 2017, Kassel (Germania), Staatsschauspiel
24-25 Maggio 2017, Saarbrücken (Germania), Musikfestspiele Saar
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Recensione
Cosi Faust diventa cinese Il mito si scopre universale
Entra in scena da vecchio, con lunga barba bianca e si dice disposto a perdere tutto il suo sapere, al quale ha dedicato la vita, pur di ritrovare almeno una volta ancora il piacere. È Faust, però parla mandarino e si muove secondo la ritualità, così espressiva, del Jingjù, antica forma di teatro cinese. Faust – una ricerca sul linguaggio, produzione dell’Opera di Pechino e di Emilia Romagna Teatro – in scena al Teatro
Argentina di Roma fino a domenica 12 – è uno spettacolo cosi perfettamente amalgamato nella diversità delle sue componenti, da farti dimenticare che in scena ci sono sette musicisti, orientali e occidentali, che le musiche sono state scritte da tre compositori, due (Luigi Ceccarelli e Alessandro Cipriani) italiani e uno (Chen Xiaoman) cinese, che la regia è della tedesca Anna Peschke e il testo (sopratitoli in italiano) è stato riscritto dalla drammaturga Li Meini. Il mito faustiano ne esce ribadito nella sua universalità, mentre la fusione del testo di Goethe con le forme teatrali della tradizione cinese si compie nel segno di un gesto teatrale efficace e comunicativo, pur nella sua stilizzazione. I quattro protagonisti (Faust, Mefistofele, Margherita, suo fratello Valentino) sono attori cinesi che, in una sostanziale fedeltà allo stile Jingjù, agiscono nell’unità indivisibile di guardo, gesto, danza, acrobazia, parola, canto.
Un canto ora accennato, ora più spiegato e libero, in una controllatissima varietà di intonazione e di accenti. Perfetta è la relazione tra gesto del corpo e musica, una partitura sonora che accompagna tutti i 90 minuti dello spettacolo, in una serie pressoché ininterrotta di momenti culminanti: l’entrata di Mefistofele, il corteggiamento di Faust, la sua uccisione di Valentino, la disperazione di Margherita, la sua uccisione del figlio neonato, l’apparizione dei demoni e la prigionia, prima che Faust, in un epilogo perfino virtuosistico nel rapporto parola/corpo, si chieda di chi è la colpa, di lui o del gran regista Mefistofele, e se quanto è accaduto sia realtà o finzione. Nell’essenzialità dell’impianto scenico risalta la centralità degli interpreti che i costumi, molto vivaci nei colori, e il trucco cosi evidente non privano di espressività e intenzioni, affidate a sguardi fulminei, a movimenti che si bloccano repentini. La musica è spazializzata, in modo da avvolgere lo spettatore, e l’esperienza nell’usare l’efficacia delle sospese atmosfere elettroniche di Ceccarelli incontra la fisicità degli strumenti, arricchendo l’esito drammatico e spettacolare. Successo molto intenso.
Sandro Cappelletto, La Stampa 9 marzo 07
Note dei compositori
Confrontarsi con una tradizione secolare come quella dell’opera cinese per due musicisti europei riserva molte sorprese. Ad esempio considerare la musica pentatonica come una musica semplice si rivela un giudizio superficiale. Tramite il lavoro in comune, infatti, si arriva a capire quanto invece questa musica possa avere mille risvolti di complessità attraverso variazioni ritmiche inaspettate e soprattutto quanto la grande coerenza di questo aspetto ritmico in relazione al movimento e al fraseggio degli attori sia indissolubile. Ci siamo dunque posti di fronte a questo mondo così organico fra testo, teatro, movimento e musica creando un secondo strato sonoro, parallelo ma completamente integrato, laddove l’espansione timbrica degli strumenti cinesi e di quelli occidentali ne coglie elementi comuni,come se gli uni avessero davvero bisogno degli altri per evolversi verso lidi nuovi. In questa versione del “Faust” viene posto in essere un incontro fra musica composta da un autore cinese su modalità melodiche tradizionali (per 4 voci, jing hu, yue qin e percussioni cinesi) e musica composta da due autori italiani (per contrabbasso, percussioni, chitarra elettrica ed elaborazione elettronica).
In un certo senso i tre strumenti cinesi rappresentano l’essenza degli organici ben più vasti che si riscontrano nelle performance dell’opera tradizionale cinese: uno strumento ad arco, uno strumento a corda e le percussioni. Allo stesso modo la nostra scelta dell’organico si è posata su tre tipologie di strumenti tra i più rappresentativi della musica contemporanea.Anche le parti elettroniche sono rielaborazioni di suoni provenienti dagli strumenti stessi, sia cinesi, sia europei.
In questo senso l’elettronica rappresenta quasi una lente d’ingrandimento con cui ascoltarli in modo diverso e diventare un ponte fra le culture. Mediante la tecnologia elettronica gli strumenti e le voci vengono anche posti in uno spazio sonoro multidimensionale, un ambiente che si evolve con la drammaturgia e diventa anch’esso lo spazio acustico del racconto.