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Luigi Ceccarelli

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Recensioni Ouverture Alcina – New York

Gen , 7
Recensioni Ouverture Alcina – New York

New York City (USA) P.S. 122 (see Off-Off Broadway)
Ouverture Alcina, un recitativo spaventoso e ipnotico, gratta un prurito davvero preciso. Per esempio, siete dei fan degli allestimenti minimalisti, ma con attrici istrioniche? Amate l’opera – ma avete un desiderio segreto di ascoltarne una massacrata nelle sue parti sonore? Nella strana aria parlata del Teatro delle Albe è all’ordine del giorno fare a pezzi le cose. Ermanna Montanari pronuncia, grida e ringhia il testo romagnolo, la versione di Nevio Spadoni della seducente strega dell’Orlando Furioso, come se fosse strappato direttamente dalla sua laringe. Attorno a lei strepita la tempestosa musica elettronica di Luigi Ceccarelli, un rumore così pazzesco che sembra essersi tirato via con violenza dal libretto. Il regista Marco Martinelli taglia lo spazio scenico con gelidi fasci di luce -anche se la Montanari spesso preferisce ritrarsi leggermente, lasciando il volto al buio. Lo sforzo è quello di scindere ogni elemento dagli altri elemento, e di lacerarci nei nostri sentimenti più intimi. Il breve lavoro è composto di sole sette parti: Alcina piange il suo destino, si scaglia con un bel po’ di invettive contro gli uomini (indimenticabile quando li paragona alla tosatura dei maiali, “tutto quel rumore, così poca lana”) e abbandona i suoi sensi, proprio mentre vibra all’apice dello spettacolo. Non c’è bisogno di seguire la storia, dato che è brutalmente semplice. (Alcina ha tradito sua sorella seducendo il suo amato. Poi lo perde). Siamo qui per godere dello straordinario controllo della Montanari, i suoi occhi truccati, la sua interpretazione a tutta velocità. Recentemente ho visto in molti esperimenti d’avanguardia dove personaggi di grandi film muti erano amalgamati in opere moderne. Qui, senza nessun ricorso a trucchetti video, il Teatro delle Albe ottiene lo stesso effetto.
(Helen Shaw, New York City (USA), Time Out, 7 Gennaio 2011 * * * * (Quattro Stelle)

Cosa porta il pubblico a tale recupero di empatia con lo spazio? Di immersione e compenetrazione. Il suono. Prevalentemente il suono. La Montanari muove nell’aria parole che si mischiano e cavalcano, rincorrono o vengono afferrate da una musica che a sua volta non usa note o scale riconoscibili. Non trascrivibile o suonabile. Anche le note si dilatano, si sgranano si assottigliano, si perdono come tali e ridiventano suono. Tutta questa opera sgretola, come accade per l’arte moderna ad un certo punto della storia, canoni e codici, li riporta ad una intraducibilità primordiale. Non uno strumento, ma lo spazio suona. Il maestro Luigi Ceccarelli dice: “La mia musica non considera gli schemi, ma viene prima degli schemi”. Martinelli, Montanari e Ceccarelli si pongono fuori dallo spazio misurato, ritrovano quella “non collocazione” prima di qualsiasi canone di misurazione. Ma la loro resta una rappresentazione e quindi scaturita e composta attraverso la conoscenza e l’uso dei canoni e delle misurazioni. Infatti nel rigore della rappresentazione e solo attraverso quel rigore possono arrivare ad offrire un attimo di intuizione dell’eterno privo delle nostre capacità di comunicazione tramite appunto strumenti di misura e codici di espressione. Il giro dell’evoluzione sta nella conoscenza, perdita della conoscenza, strumenti per recuperarla, ritorno alla conoscenza.
(Luciana Lanzarotti, teatro.org, 24 aprile 2012)

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