Luz (1998)
for jazz trio and ensemble
Instrumentation: Sax t., Batt, Cb; Fl. Cl. Tr. Perc.(Vibr. G.C. P.tti T.tom T.tam) Vl. Vla. Vc.
Duration: 48′
First performance: Roma, 27/05/1998, Sala A, RAI, “Audiobox”
Freon ensemble, Antonio Apuzzo Trio, conductor Stefano Cardi
Light (second version of Luz) (2003)
for jazz trio and ensemble
Duration: 48’
First performance: Roma, 09/11/2003, Nuova Consonanza
gruppo strumentale del Conservatorio di Fermo, conductor Massimo Mazzoni
Corto circuiti (third version of Luz) (2018)
for trio jazz and ensemble
Durata: 48’
First performance: Roma, 30/09/2018, Villa Pamphili, “Le vie del jazz” Nuova Consonanza
Freon ensemble, Antonio Apuzzo Trio, conductor Stefano Cardi
Roma, 10/11/2018, Scuola di musica di Testaccio
Freon ensemble, Antonio Apuzzo Trio, conductor Stefano Cardi
Presentazione
Luz è l’antico nome di una città misteriosa, completamente nascosta. Vi si accede attraverso una grotta, nelle cui vicinanze sorge un mandorlo (luz in ebraico), percorrendo poi una lunga galleria sotterranea.
L’etimologia di luz risulta piuttosto interessante, ancorché controversa. Da un lato è in relazione con tutto ciò che è nascosto, coperto e segreto, dall’altro è possibile anche individuare dei riferimenti con il cielo. Del resto il coelum latino rimanda al greco koilon, «cavo», da cui «caverna» e, nella sua forma più antica, «caelum», ricorda da vicino caelare, «nascondere». Luz infatti è nota anche come la «città azzurra». In India una leggenda vuole che l’azzurro dell’atmosfera sia in realtà prodotto dal riflesso della luce del Sole sulla faccia meridionale del Meru, tutta costituita di zaffiro, la faccia che guarda lo Jambu-dwipa. I sette dwipa (letteralmente «isole» o «continenti») emergono successivamente nel corso di certi periodi ciclici, in modo che ciascuno di essi è il mondo terrestre considerato nel periodo corrispondente. Se ogni faccia ha uno dei colori dell’arcobaleno, la sintesi di questi sette colori è il bianco, colore attribuito universalmente all’autorità spirituale suprema. Dunque luz è in relazione sia con «ciò che copre, ciò che nasconde», ma anche con «ciò che è nascosto» (il mondo nascosto ai sensi, il regno sovrasensibile, o, nei periodi di oscuramento, la tradizione che cessa di essere manifestata apertamente, allorché il mondo celeste diviene sotterraneo). (R.Guénon, Il Re del Mondo).
Luz, infine, ha un ultimo significato che appare assai carico di suggestioni: è il nome che viene dato a una particella incorporea indistruttibile, una sorta di essenza dell’essere, rappresentata simbolicamente come un osso durissimo; a questa particella l’anima rimarrebbe legata dopo la morte e fino alla resurrezione. Come il nocciolo contiene il germe, e come l’osso contiene il midollo, questo luz contiene gli elementi virtuali necessari alla restaurazione dell’essere.
STRUTTURA
La struttura di Luz, similmente ad un Rondò, alterna dei Refrain (TUTTI, scrittura deterministica), a degli Episodi (SOLI, scrittura libera / aleatoria, improvvisazione).
Le sezioni si alternano in una successione di questo tipo:
Preludio – A1 (Refrain) – B (1° Episodio) – A2 (1 Var.Refrain) – C (2° Episodio) – A3 (2 Var.Refrain) – D (3° Episodio) – A4 (3 Var.Refrain) – E (4° Episodio) – A5 (4 Var.Refrain).
Il gruppo centrale delle 10 sezioni complessive (C – A3 – D) costituisce un gruppo a sé, una sorta di lunga Cadenza centrale dei solisti su cui si inserisce e si integra il TUTTI (A3), Variazione centrale del Refrain.
I Refrain si sviluppano linearmente, Variazioni a catena, ciascuno della precedente. Si basano su materiali musicali, di diversa provenienza, che propongono già dal primo Refrain, seppur in forma sintetica e in nuce, gli «elementi virtuali necessari alla (ri)costruzione dell’opera».
Gli Episodi, in cui i tre solisti improvvisano sulle griglie predisposte dagli autori, elaborano ciascuna un diverso tassello dei materiali del Refrain. Rispetto alla riconoscibilità e alla continuità dei Refrain, gli Episodi procedono per discontinuità, arrestano la linearità del processo principale per soffermarsi sull’elaborazione di alcuni dettagli.
Il rapporto tra il trio e l’ensemble oscilla tra antagonismo e fusione, ma questi due estremi non vanno riferiti semplicisticamente ai diversi retroterra da cui procedono i due autori (fusione = scrittura predeterminata, prevalenza ensemble; antagonismo = improvvisazione, prevalenza trio); la scommessa anzi consiste proprio nel suo opposto: ridisegnare ogni volta la configurazione del complesso che, combinando i 3 con i 7 dà luogo a un gruppo modulare di 10 elementi. La stessa scelta degli interpreti è stata da ciò suggerita, un trio di jazzisti idonei anche ad integrarsi all’ensemble quando il decorso formale del pezzo lo richiede e la partitura è scritta in maniera puntuale e dall’altro lato un ensemble i cui componenti fossero “culturalmente” e per sensibilità vicini all’improvvisazione. Più che sull’accostamento tra trio e ensemble (perché i ruoli e le alleanze si rimodellano continuamente nel divenire della partitura) il cortocircuito avviene dunque nell’accostamento dei linguaggi e dei mondi espressivi. Da questo punto di vista l’operazione, che non vuole certo allinearsi a esperienze definibili di “contaminazione linguistica” (categoria anzi a nostro avviso abusata e spesso mistificatrice), vuole piuttosto collocarsi, esplorandola compositivamente, su quella zona di confine in cui naturalmente si toccano le forme più sperimentali della musica oggi e che in precedenza, pur provenendo da esperienze diverse, abbiamo come compositori e interpreti più volte lambito.