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Intervista a Mauro Cardi, presidente di Nuova Consonanza nel biennio 1999-2000, di Alessandra Sciortino

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Intervista a Mauro Cardi, presidente di Nuova Consonanza nel biennio 1999-2000, di Alessandra Sciortino

Intervista a Mauro Cardi, presidente di Nuova Consonanza nel biennio 1999-2000
di Alessandra Sciortino

A.S. Lei ha ricoperto la carica di presidente di Nuova Consonanza nelle stagioni 1999-2000 (con epilogo nel 2001), ma effettivamente di quali festival si è occupato rispetto all’investitura della carica, considerati i tempi di programmazione artistica?
M.C. Mi sono occupato di tutte le stagioni che cita, come anche, seppur in qualità di vicepresidente, delle due precedenti, 1997 e 1998, in collaborazione stretta col presidente di quelle due annate, Michele Dall’Ongaro.
A.S. Poiché non esiste di fatto una figura di direttore artistico presso Nuova Consonanza, in che modo è stata stilata la sua stagione in collaborazione col consiglio di amministrazione?
M.C. Il presidente di Nuova Consonanza è a tutti gli effetti il direttore artistico del festival e delle altre attività concertistiche dell’associazione. Ovviamente il contributo portato dagli altri membri del cda, come anche dai soci, può risultare importante e nella mia gestione ho cercato di coinvolgerli il più possibile, se non addirittura in qualche caso delegarli, per la progettazione di determinate manifestazioni. Ma la questione della separazione delle cariche di direttore artistico e presidente, affrontata numerose volte, rimane tuttora irrisolta.
A.S. Il suo motto, condiviso col suo predecessore, e dunque in linea col vissuto più recente di Nuova Consonanza, è stato no hay caminos/ hay que caminar, come scrive nel numero 1 del marzo 1999 su “nc news”. Vuol spiegare le ragioni di questo motto?
M.C. Il riferimento a Luigi Nono, che riprendeva un verso di Tarkowskij, ci sembrava emblematico nella realtà culturale del 1999 (come lo è forse ancora nel presente 2008). Voleva essere un richiamo a un’etica, e a una poetica, che si fondassero sull’impegno di proseguire ostinatamente lungo un percorso, anche quando questo percorso non fosse più chiaramente visibile, ma accidentato e confuso quanto mai prima, anche quando sembrava che in verità non ci fossero più strade da percorrere, esaurite quelle mete ideali, a tratti utopistiche, che avevano guidato la musica contemporanea nell’immediato dopoguerra.

A.S. La musica come forma di pensiero (dei musicologi, dei critici) e la musica scritta, la musica da suonarsi e la musica da vedere, la musica da fruire. Quale dialogo c’è, per quella che è la sua esperienza (sia diretta, e cioè da presidente, sia indiretta) tra questi ambiti del sapere musicale in Nuova Consonanza?
M.C. Nuova Consonanza è prevalentemente un’associazione di compositori. Lo spazio e il dialogo che, all’interno dell’associazione, viene riservato ai diversi ambiti del sapere e del fare musicale dipende dal momento storico, oltre che dalle volontà dei cda che si succedono. Credo che in questa fase Nuova Consonanza abbia il dovere di interrogarsi a fondo sul suo ruolo, creando maggiori occasioni di discussione e riflessione, all’interno e all’esterno.
A.S. In un paese in cui le riforme hanno origine dalla fine (vedi la riforma dei conservatori) per confrontarsi poi con lacunose voragini a monte, in quale modo si può effettuare una rivoluzione copernicana che parta dal rapporto col fruitore/ascoltatore?
M.C. Coinvolgendo il fruitore, ma soprattutto, ancor prima, andando a “scovarlo” negli ambienti culturalmente e socialmente vicini alla nostra realtà di compositori. Penso alle scuole, alle università, ai conservatori (cosa assai poco ovvia, come si potrebbe ingenuamente e sensatamente pensare…), ai musei, ai centri di ricerca, ai poli culturali, ai centri sociali.
A.S. Crede che la secolarizzazione di uno stimolo percettivo di tipo visivo, fortemente coadiuvato dalla tecnologia, abbia in qualche modo disabituato l’ascoltatore alla sensibilità uditiva? In effetti più frequente è la presenza di pubblico presso quegli spettacoli di plurima stimolazione sensoriale quale anche l’opera lirica.
M.C. É vero, e lo riscontro ogni qual volta vedo accrescere l’appeal e le presenze di pubblico ai concerti che impiegano mezzi multimediali. Dobbiamo riflettere attentamente su questo fenomeno.
A.S. La musica colta del teatro d’opera ha raccolto per tradizione il pubblico più in vista, sfilate di nomi prestigiosi divenendo un appuntamento ‘sociale’ ancor prima che culturale (ma rimanendo pur sempre, almeno, pretesto culturale). Lo stesso non è accaduto nell’ambito del contemporaneo: non si crea l’evento culturale, l’interesse, la curiosa e più alta attenzione. Perché, a suo avviso?

M.C. Ma negli anni ’60 e ’70 lo era! anche se pur sempre in un ambito di élite culturale.  Il legame con gli intellettuali e gli altri artisti si è poi andato perdendo col tempo, quel senso di condivisione di un percorso si è sfilacciato in innumerevoli strade solitarie. Va ricucito secondo principi e linee nuove; nella nostra breve esperienza abbiamo tentato di invitare e coinvolgere attivamente intellettuali, ricercatori e liberi pensatori delle più diverse estrazioni, come testimoniano, ad esempio, gli atti dei convegni realizzati.
A.S. Quanto crede sia importante per un avvicinamento all’uditorio la partecipazione attiva del pubblico che entra a far parte dell’opera? Nell’ambito della musica contemporanea (esclusa la parentesi di happening e performance in cui comunque la sua partecipazione è più che altro passiva, ormai datata e anacronistica) ci si è forse allontanati da ciò mentre l’arte visiva sembra sempre più incuriosire sedurre e rendere attivo o spettatore.
M.C. E’ importante, ma rappresenta una ricerca ancora tutta da compiere.
A.S. E’ forse questa la malattia di cui soffre la musica “non applicata”, l’assenza di spettacolarizzazione?
M.C. Sarebbe facile rispondere “si”. Di fatto va tuttavia anche considerato, per la riuscita di una manifestazione concertistica, tutta una serie di componenti ormai indispensabili per un pubblico esigente e sollecitato da innumerevoli richiami. Penso alla qualità intrinseca delle musiche presentate e degli interpreti che le propongono, ma anche all’idea tematica che collega i brani programmati, penso all’acustica della sala, alla cura delle luci, alla drammaturgia del concerto in ultima analisi… tutti elementi che conferiscono a un concerto quel valore aggiunto che lo rende uno spettacolo, pur senza far necessariamente ricorso a mezzi multimediali.

A.S. «Forse siamo arrivati a considerarci filosoficamente contemporanei di tutte le precedenti culture» – scrive George Crumb nel 1980 sulla rivista “The Kenyon Review” il cui testo è peraltro riportato nel programma del 1999. Quanto pesa o meno questa globalizzazione culturale? Dipende solo da una difficile e poco distaccata analisi del presente come in tutte le epoche? O esiste una vera pluralizzazione di tendenze? Oppure, ancora – citando sempre Crumb – comoedia finita est?
M.C. Comoedia finita est: su questo, se devo essere onesto e disincantato, nutro pochi dubbi. Eppure questo nostro occidente proclama da oltre cent’anni questa fine di cui si perpetua all’infinito, producendo ancora capolavori, l’ultimo canto del cigno. Siamo insomma abituati a considerarci, in ambito culturale ed artistico, postumi a noi stessi, sin dalla nascita. Detto ciò dovremmo chiudere qui, eppure… eppure…Mi viene in mente quel passo di Baudrillard, cito a memoria, in cui riferisce di quel tipo che, nel corso di un’orgia, con fare ammiccante, dice con concupiscenza alla compagna di giochi: hai da fare dopo?
Su questa insaziabilità, se supportata da reale necessità di espressione (nel senso petrassiano), possiamo contare per essere ancora sorpresi da eventi inattesi e imprevedibili.
A.S. Così si legge nell’introduzione del primo ed unico numero della rivista “Ordini” datata luglio 1959: «Il mondo contemporaneo è fondamentalmente scisso, ma allo stesso tempo tende all’integrazione.
Così accade che per un artista d’oggi non basta essersi espresso egli non può rintanarsi nel proprio hortus conclusus egli deve affrontare quanto più gli è possibile, il contatto l’urto, con altri campi dell’esistere con altri ordini di realtà». Questa riflessione suona attuale. Quanto è cambiata dunque concretamente la realtà musicale da allora ad oggi?

M.C. 
Poco, sembrerebbe, con la differenza che la presenza dell’artista di oggi nella società non è più soltanto un imperativo morale, come quello che ispirava negli anni ’50 e ’60 gli artisti più sensibili e impegnati (ancorché, diciamolo, un po’ coccolati dalle istituzioni che, seppur non integrandoli fino in fondo, lasciavano loro ampi spazi di azione), ma, questa presenza, rappresenta una realtà, assai più autentica e concreta, anche se forse meno estetica, in molti casi una scelta obbligata.
A.S. In quale ambito musicale circoscritto si colloca nel nuovo millennio l’operato di Nuova Consonanza?
M.C. Si occupa, e secondo me dovrebbe occuparsi maggiormente, avendo la disponibilità di maggiori risorse da un lato e maggior coraggio dall’altro, della proposta di realtà e pensieri musicali nuovi e in qualche modo sperimentali (seppur in un’accezione diversa da quella delle avanguardie storiche).
Il nome di un’associazione storica come Nuova Consonanza, che a livello europeo è ancora simbolo di autorevolezza, come ho potuto verificare nei diversi contatti avuti da presidente, andrebbe speso tutto per questa causa.
Quello che deve evitare, pena la sua sopravvivenza, è la tentazione, comoda ma fatalmente perdente alla distanza, a divenire una piccola società di concerti.
A.S. La sua stagione 2000-2001 ha goduto delle sovvenzioni dell’Unione Europea. In che modo si gestisce un progetto europeo e quante volte, a sua conoscenza, ne è stato presentato e approvato uno nella storia dell’associazione?
M.C. Credo siano state tre le stagioni sovvenzionate da progetti europei (Caleidoscopio prima, Musica Duemila poi), sotto la presidenza Dall’Ongaro e poi Cardi. Non mi risulta siano stati finanziati altri festival successivamente.
L’impegno per partecipare a quei bandi europei, e poi per realizzarli secondo le norme imposte a livello comunitario, lo ricordo sempre estremamente oneroso, sotto ogni profilo. A posteriori posso dire che comunque ne valeva la pena, per l’entità dei contributi e per l’apertura internazionale che rappresentarono ogni volta.
A.S. Lei ha ricoperto il ruolo di presidente e, a tutt’oggi, quello di socio. Qual è oggi il ruolo operativo dei soci dell’associazione? 
M.C. Sono un semplice socio, anche se spesso coinvolto, come compositore, in diverse iniziative dell’associazione.
A.S. Qual è la stagione ideale, ipotizzando un pubblico ideale e delle risorse utopiche?
M.C. Quella in cui, dopo aver operato le scelte artistiche e prima ancora tematiche, le une e le altre possibilmente coraggiose e non appiattite su tendenze alla moda, si potessero poi mettere in condizione i musicisti e tutti gii artisti invitati di potersi esprimere al meglio delle loro possibilità.

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