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“Le strategie del comporre”, intervista di Daniele Del Monaco (BiblioNet)

Ott , 1
“Le strategie del comporre”, intervista di Daniele Del Monaco (BiblioNet)

“Le strategie del comporre”
Intervista a Mauro Cardi di Daniele Del Monaco
per la rivista online “BiblioNet”

Daniele Del Monaco. Qual’è stato il tuo percorso artistico?
Mauro Cardi. Dopo regolari studi presso il Conservatorio di Santa Cecilia mi sono perfezionato con Franco Donatoni (e questo è stato un incontro determinante per tutti gli sviluppi futuri). Sono stato a Darmstadt nel 1984, riportando una somma delusione se confrontavo l’opinione formata sui racconti o sulle cronache degli anni ’50, con il degrado della realtà dell’84. Molto più interessanti sono state le esperienze olandesi, per la apertura dell’ambiente ed il livello delle formazioni che ho avuto modo di conoscere; sono stato selezionato o premiato a diverse edizioni del Gaudeamus e da lì si sono avviati esperienze per me estremamente formative. Nel 1989 sono stato per oltre un mese in Australia, toccando con un piccolo tour le principali città.
Negli anni ’80, insomma, ho cercato di farmi un mestiere, maturando convinzioni e aspettative, in un percorso abbastanza comune ai compositori della mia generazione. Ma già sul finire degli anni ’80, pezzo dopo pezzo, tutto lo scenario della musica contemporanea iniziò a cambiare. Le istituzioni roccaforti della nuova musica iniziavano a perdere importanza e credibilità; la RAI, che aveva scritto molte pagine della storia della musica del secondo Novecento, chiudeva le sue orchestre e diede avvio a un’inesorabile cancellazione della nuova musica nella programmazione radiofonica; gli editori, che erano stati un punto di riferimento e il principale promotore della nostra musica, entravano uno dopo l’altro in crisi, fino alla inconsistenza attuale.
Era d’obbligo rivedere e mettere in crisi aspettative e atteggiamenti.
Io fino al 1990 mi sono dedicato esclusivamente alla musica strumentale, poi una serie di circostanze esterne hanno prodotto un allargamento degli orizzonti facendomi avvicinare al teatro musicale (una commissione dell’Accademia Filarmonica Romana del 1995), alla musica elettroacustica (commissioni RAI e Centro Armando Gentilucci, corso all’IRCAM nel 1995) e negli ultimi anni ad esperienze in continua evoluzione (l’uso delle tecnologie, la musica e gli strumenti di matrice etnica, una ritrovata esperienza come esecutore su strumenti MIDI…). Ma al di là dell’allargamento degli orizzonti musicali e dei mezzi espressivi e tecnologici a disposizione è l’idea stessa di compositore che andava necessariamenti rivista, per approdare a qualcosa di sicuramente meno definito e meno consolatorio, ma più realisticamente e radicalmente calato nel presente, pur con tutte le perdite dolorose, le illusioni cadute in un’epoca di crisi.
Sono stato Presidente di Nuova Consonanza dal 1999 al 2001 e spero di aver dato un’idea, con la programmazione realizzata in un triennio, di questa difficile, incoerente, problematica, ma ancora estremamente ricca e sfaccettata realtà della musica di oggi. E mi rimane, rafforzato negli anni, un forte senso di curiosità per gli sviluppi futuri.
DDM. Pensi che l’esigenza, tipica dei nostri giorni, di ricollocare la figura del compositore all’interno di un contesto culturale comporti anche una ristrutturazione del concetto stesso di “musica d’autore”?
MC. Non credo. La ricollocazione, come dici tu, della figura del compositore, è nei fatti. Ma nella crescita esplonenziale degli autori, quindi delle musiche e della diffusione delle musiche a cui assistiamo – crescita, non sempre sviluppo, e crescita confusa, a volte perfino apparente… – bene, in questo contesto il ruolo dell’autore rimane insostituibile, garanzia non dico necessariamente di qualità, ma almeno di autenticità.
DDM. Puoi parlarmi di una tua composizione alla quale sei particolarmente affezionato?
MC. Ci sono opere a cui si è legati per i risultati musicali raggiunti, altre che invece testimoniano di conquiste tecniche. Non sempre le due cose convivono nello stesso pezzo: come in altre epoche storiche, generalmente le opere maggiormente orientate verso la ricerca danno poi i loro frutti musicali in lavori successivi, in cui, come dire, questo travaglio è meno visibile.
Ciò premesso devo dire che citare una composizione mi risulta impresa assai difficile. Ne citerei una per ciascuna delle categorie in cui generalmente vengono classificate.
Direi allora IN CORDE tra i lavori sinfonici, NESSUNA COINCIDENZA tra le opere di teatro musicale, CALENDARI INDIANI per la musica da camera strumentale, TEMPERATURA ESTERNA come esempio di composizione radiofonica, MANAO TUPAPAU per la musica elettroacustica e infine ALTROVE CON IL SUO NOME per le opere multimediali.
DDM. Potresti farmi un esempio pratico di un tuo brano “di ricerca”, degli strumenti tecnici che esso ha dato luce e della loro applicazione in un discorso musicale?
MC. Non credo esistano, almeno per me, opere orientate verso la ricerca e opere orientate verso l’espressione: ogni composizione, per poter essere definita tale, necessariamente avrà entrambe le valenze. Detto ciò, nel percorso artistico di un compositore ci sono fasi in cui l’aspetto della ricerca può diventare prevalente, fino a comportare il “sacrificio” (non programmato, si spera) del valore artistico di alcune opere, riscattandosi poi, come ti dicevo, in lavori successivi, quando tali ricerche si metteranno naturalmente a servizio di una poetica. Ma lasciami sottolineare un aspetto. Non credo esista scoperta interessante senza l’azione stimolatrice di un obiettivo “poetico” e la pressione di una volontà espressiva. Mi è sempre capitato di fare scoperte interessanti, procedendo nel mio personale arricchimento, quando ero sotto la pressione di un desiderio, Conosco soltanto una forma impura della ricerca, del tutto finalizzata a produrre e non a spiegare, a creare e non a dimostrare.
DDM. Mi sapresti descrivere il processo creativo del compositore?
MC. Sul mio ideale tavolo di lavoro (che a volte è una stazione informatica, a volte un pianoforte, ma spesso un vero e proprio tavolo) sono le idee musicali (quella che una volta si chiamava “ispirazione”) e, accanto a queste, com’è ovvio, gli strumenti compositivi.
A volte questo tavolo può assomigliare idealmente a un campo di battaglia, più sul piano concettuale che su quello fisico.
Ma mi preme dire che gli strumenti del comporre non sono delle tecniche definite una volta per tutte, non sono sistemi codificati, quanto piuttosto personali tecniche messe a punto per quel dato pezzo e che in quel dato pezzo trovano legittimazione e necessità;
quanto alle idee, mi riferisco a quel mondo immaginario, impalpabile e dai contorni indefiniti, ancora premusicale e tuttavia già dotato, se non di una forma, almeno di una intenzione, di una direzionalità. Sono immagini ancora sfumate, pronte a essere tradotte in segni ed in figure, prendendo forma e sostanza, fortemente indirizzando la dimensione artigianale del lavoro, obbligando la scrittura e le sue tecniche a ridefinirsi e canalizzarsi sui loro percorsi.
DDM. In una composizione contano più le idee musicali o il modo in cui il compositore opera su esse?
MC. Dipende da cosa intendi… per l’opera in sé, per l’opera come soggetto, quello che conta sono le idee musicali e la qualità ed efficacia della loro realizzazione; a noi che ne parliamo, ad un lettore, ad uno studente può forse interessare conoscere il modo in cui un compositore lavora, purché questa curiosità non sostituisca ma integri la conoscenza dell’opera.
DDM. Mi riferivo al concetto di sviluppo. Le idee musicali sono, come dici tu, immagini ancora sfumate che suggeriscono una certa direzionalità, ma non sono ancora musica finchè la mano del compositore non opera su esse attraverso strumenti tecnico-analitici che fanno poi della figura del compositore un mestiere, e della composizione un vero e proprio artigianato. Ovviamente le stesse idee musicali possono essere tradotte in musica in maniera più o meno efficace, e mi chiedevo se non fosse proprio questa capacità elaborativa del compositore (più che le idee) ad arricchire e a rendere interessante (o bella) un’idea musicale. In virtù del fatto che l’arte è un tipo di comunicazione particolare dove gran parte del messaggio sta nel linguaggio stesso (1), non trovi che sia semplicistico definire la poetica di un artista nelle sue idee, e che in alcuni casi sia la tecnica stessa che un autore sviluppa nel tempo a suggerirci il suo universo poetico? Le idee possono essere un importante stimolo, forse proprio quello stimolo che a volte costringe l’autore di musica a fare le notti o saltare i pasti per stare di fronte a una partitura (seguendo quell’ideale romantico di compositore…), ma a volte la loro realizzazione costringe il compositore a percorsi non progettati e a modellare su di essi il materiale di partenza. Ti capita mai di stravolgere il progetto musicale nella sua realizzazione?
MC. Si, mi capita spesso, talmente spesso che ormai progetto con una certa accuratezza di definizione soltanto gli inizi dei pezzi che scrivo, lasciandomi così libero di percorrere gli sviluppi musicali che più assecondino le tendenze insite nelle figure iniziali, una volta che le “conosco” nella concretezza della loro manifestazione. Quanto al resto della tua domanda ammetto di avere una certa difficoltà a stabilire una netta separazione tra le idee musicali e le tecniche che daranno loro corpo. Se le idee musicali non sono i “temi” e le tecniche gli “sviluppi” (se invece lo fossero la tua tesi calzerebbe a pennello per un compositore come Beethoven o come Brahms, anche se a Bach andrebbe già un po’ stretta), ma se non lo sono, allora mi domando se sia possibile stabilire con esattezza dove finisce il dominio dell’idea e dove inizia quello della tecnica, essendo la relazione così stretta, così frequenti i rimandi tra loro. Mi riferisco a una concezione più vasta del concetto di idea musicale, coincidente più con un gesto, immaginato nel suo farsi suono e realizzarsi in figure musicali e recante con sé già l’idea di un processo formale e compositivo, dunque già proiettato verso la scrittura.
D. Progetti artistici per il futuro?
MC. Sono appena tornato dalla Svezia dove, con Edison Studio, abbiamo eseguito dal vivo le musiche elettroacustiche composte per un film muto del ’13, “Gli ultimi giorni di Pompei” ed ora sono in partenza per la Biennale di Venezia, per la prima della mia Sonata per pianoforte che verrà eseguita da Mauro Castellano il 28 settembre. Ho un lavoro in corso, una composizione per un percussionista persiano che verrà eseguita in novembre a Roma e, tra i progetti, il proseguimento della collaborazione iniziata due anni fa con l’attrice Sonia Bergamasco e il poeta Pasquale Panella, un’opera per bambini, un altro lavoro elettroacustico…

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