TURANDOT
musiche Luigi Ceccarelli, Alessandro Cipriani e Qiu Xiaobo
organico contrabbasso, chitarra elettrica, 5 percussionisti, jing hu, jing er hu, yue qin e cinque percussionisti (grancassa, vibrafono, rototom, ban gu, da tang gu, nao bo, xiao luo, da luo). Tutti gli strumenti amplificati e con elaborazione elettronica
regia Marco Plini
regia per l’Opera di Pechino Xu Mengke
drammaturgia Wu Jiang e Wu Yuejia
assistente alla regia Thea Dellavalle
con gli attori della Compagnia Nazionale dell’Opera di Pechino
Zhang Jiachun, Turandot – Xu Mengke, Calaf – Wu Tong, Liù – Liu Dake, Timur – Ma Lei, imperatore Wang Ping – Wang Chao, Ping – Nan Zikang, Pong – Weng Pengyu, Pang
musicisti
Vincenzo Core, chitarra elettrica – Giacomo Piermatti, contrabbasso – Meng Lingshen, jing hu – Zhang Fuqi, jing er hu – Li Lijing, yue qin
percussioni: Laura Mancini, grancassa, vibrafono, rototom – Wang Xi, ban gu e da tang gu – Cao Rongping, nao bo – Chen Shumin, xiao luo – Niu Lulu, da luo
costumi Jiang Dian
coreografie Cao Yang
luci Tommaso Checcucci
video Orlando Bolognesi
acconciature e trucco Zheng Weiling
direttore tecnico Robert John Resteghini,
direttore di scena Gioacchino Gramolini,
macchinista Riccardo Betti,
capo elettricista Tommaso Checcucci,
capo fonico Alberto Tranchida,
fonico Filippo Cassani,
tecnico video Orlando Bolognesi,
sarta e attrezzista Lucia Bramati,
interpreti Wen Yan e Zhou Quan
collaborazione al progetto scenografico Marco Fieni,
scene costruite nel laboratorio di Emilia Romagna Teatro Fondazione,
capo costruttore Gioacchino Gramolini,
costruttori Riccardo Betti e Marco Fieni,
scenografe decoratrici Lucia Bramati e Francesca di Serio
produzione China National Peking Opera Company,
Emilia Romagna Teatro, Teatro Metastasio di Prato
rappresentazioni
21 dicembre 2018, Beijing (Cina), Tsinghua University, Meng Minwei Concert Hall
10-13 gennaio 2019, Bolzano, Teatro Stabile di Bolzano
17-20 gennaio 2019, Prato, Teatro Metastasio
23-27 gennaio 2019, Modena, Teatro Storchi
29 gennaio 2019, Ferrara, Teatro Comunale
1 Febbraio 2019, Casalmaggiore, Teatro Comunale
5-10 febbraio, Roma, Teatro Argentina
Può sembrare una grande sfida, in un primo momento, scrivere una nuova musica per Turandot. In realtà si tratta invece di un lavoro teatrale lontanissimo dall’opera di Puccini che tutti conosciamo. Qui siamo in Cina, quella vera,
non quella vagheggiata o raccontata, e solo una parte della storia (che risale addirittura al medioevo persiano) ha qualche similitudine. In questo lavoro il nostro proposito è stato innanzitutto quello di confrontarci, come compositori, con una tradizione secolare come quella dell’opera di Pechino, con i suoi attori e musicisti, con la sua tradizione musicale. Questa musica ha variazioni ritmiche inaspettate in relazione indissolubile con il movimento e con il fraseggio degli attori, e non c’è alcuna relazione con l’opera italiana. Ci siamo dunque posti di fronte a questo mondo così organico fra testo, teatro, movimento fisico e musica cinese, creando un secondo strato sonoro, parallelo ma completamente integrato, laddove l’espansione timbrica degli strumenti cinesi e di quelli occidentali ne coglie elementi comuni, come se gli uni avessero davvero bisogno degli altri per evolversi verso lidi nuovi. In questa “Turandot” viene posto in essere un incontro fra musica elaborata da un’autrice cinese a partire da melodie della tradizione dell’opera di Pechino (per 8 voci, jing hu, er hu, yue qin e percussioni cinesi) e musica originale composta da due autori italiani (per contrabbasso, percussioni, chitarra elettrica ed elaborazione elettronica in tempo reale e differito).
Gli strumentisti italiani e quelli cinesi, suonando insieme, creano una dimensione altra, fatta di scambi e relazioni. In un certo senso sia i 3 strumenti italiani, sia i 7 strumenti cinesi rappresentano l’essenza degli organici ben più vasti che si riscontrano nelle performance dell’opera tradizionale cinese: strumenti ad arco, strumenti a corda e strumenti a percussione. Anche per questo la nostra scelta dell’organico italiano si è posata sulle stesse tre tipologie di strumenti tra i più rappresentativi della musica contemporanea europea. Le parti elettroniche sono rielaborazioni di suoni provenienti dagli strumenti stessi, sia cinesi, sia italiani.
In questo senso l’elettronica rappresenta quasi una lente d’ingrandimento con cui ascoltarli in modo diverso e diventare un ponte fra le culture. Mediante la tecnologia elettronica gli strumenti e le voci vengono anche posti in uno spazio sonoro multidimensionale, un ambiente che si evolve con la drammaturgia e diventa anch’esso lo spazio acustico del racconto.
(Luigi Ceccarelli e Alessandro Cipriani)
Recensione
TURANDOT, VIENI VIA CON ME
Ieri sera sono stato in Cina. Il biglietto per andarci l’ho preso a teatro, in piazza Verdi a Bolzano. Poco dopo ero già li. Ho dovuto solo prendere posto nel medesimo teatro e la Cina ce l’avevo davanti, e intorno. No, non la Cina del Pil, Prodotto Interno Lordo, quella che produce tutto il producibile. Sul palco, e talvolta giù dal palco, c’era quella antica, profonda, arcaica, forse senza tempo. Era tutta
dentro una “Turandot” mai vista e mai sentita, riscritta e rimusicata, recitata-cantata in lingua cinese, sopratitolata in italiano, immersa in sonorità elettroniche e tradizionali. Un viaggio nel tempo e nello spazio, per gli spettatori. Quando arrivi in un paese straniero, ma straniero davvero, di cui non conosci la lingua, dicono che la prima cosa da fare è ascoltare e guardare. E lasciarsi il tempo di non capire. Un po’ alla volta i toni, le movenze, i ritmi degli altri si fanno meno estranei: all’inizio la prima difesa è il sorriso, per proteggerti dall’esotico che hai di fronte, quasi un gesto di superiore benevolenza. Poi però capisci che quell’esotico non è un finto folklore, ma una realtà secolare e seria, che ci propone un mondo che forse non padroneggeremo mai (tantomeno lo impareremo in uno spettacolo di 80 minuti),
ma che ci ospiterà con grande dedizione per tutta la serata.
Ecco, forse la cosa che più incanta di questa Turandot sino-italica è che alla fine ti rendi conto che sì, è vero, in questi giorni siamo noi ad ospitare la Compagnia Nazionale dell’Opera di Pechino nella stagione dello Stabile di Bolzano, ma in quell’ora e mezza lì gli ospitati siamo noi. Perchè di colpo dimentichiamo Bolzano, piazza Verdi, il nuovo anno 2019, e veniamo traslocati in una fiaba raccontata in una lingua che non capiamo, con gestualità cui non siamo abituati, da attori che intuiamo essere bravissimi ma non sappiamo bene perché, in toni vocali straniami eppure mai fuori luogo, con colori sgargianti ed elegantissimi, in un impasto di suoni antichi e contemporanei: e scopriamo di trovarci magnificamente a nostro agio. Un viaggio ipnotico, e divertente, e ben riuscito. Non possiamo che assistere a quella meraviglia strana con stupore, come bimbi la prima volta. Molliamo gli ormeggi, non cerchiamo Puccini, non aggrappiamoci al libretto che magari abbiamo in testa, e godiamoci la fiaba. In questa versione il Calaf che risolve gli enigmi della crudele principessa Turandot è un gigante: sfrontato, ingenuo, geniale e limpido nei sentimenti, leale. Siamo tutti per lui. Turandot si pente, ma il lieto fine nelle fiabe nere non è giusto cercarlo. E c’è pure una morale: non si può passare sopra a tutto. Questa reinvenzione della Turandot mi ricorda il rispetto con cui i restauratori di oggi recuperano le opere d’arte antiche: lavorano al meglio per farne emergere l’età, la distanza da noi. L’alterità che le rende preziose. Per rendere evidente la patina antica che ne costituisce la fibra. Per questo ogni movimento sulla scena ha la sua misura inattuale. Per questo ogni passo è calcolato. Ogni acrobazia coerente. E’ un’occasione perfetta, questa serata a teatro, per vivere l’assurda esperienza di non capire una sola parola (tranne forse TURANDOT – vediamo se la individuate quando verrà pronunciata!) senza sentirsi esclusi dalla festa.
Paolo Mazzucato (Alto Adige, Lettere e Commenti, 12/01/19)