The Last Shipwreck è la terza parte della trilogia audiovisiva “Naufragi”.
Tra visibile e invisibile, i segni, i volti, i corpi del Naufragio di ieri e di oggi cortocircuitano in un unico ritratto dolente dell’inabissamento del senso. Dove il legno del patibolo, la parola disarmata della Croce e le tavole di una zattera alla deriva si fondono e confondono nelle latitudini e longitudini di mappe geografiche ormai inservibili. Ma l’ultima custodia dell’umano non è ancora quella delle tenebre.

Nel suono il rincorrersi e avvilupparsi, come onde, di variazioni sovrapposte delle prime 16 battute della Passione secondo Matteo di Johann Sebastian Bach (BWV244, n.1). Le variazioni su questo tema pongono in essere lo sperdimento, la meccanicità, e infine

l’affogare nei singoli accordi, nelle singole linee di contrappunto dilatate, alla ricerca dell’altrove, dell’infinitamente piccolo in cui è nascosto ciò che non possiamo ancora comprendere.
The Last Shipwreck trae principale ispirazione dal dipinto Le Radeau de la Méduse (1819) di Jean-Louis Théodore Géricault. Un dipinto, a sua volta, ispirato da un tragico episodio di cronaca accaduto nei primi di luglio del 1816: al largo delle coste senegalesi, una zattera lunga venti metri e larga sette, costruita con i resti della fregata della marina francese “Medusa”, viene deliberatamente abbandonata in balia delle forti correnti dell’oceano con il suo carico ammassato all’inverosimile di 152 uomini. Tredici giorni d’interminabile agonia, cui sopravviveranno 15 naufraghi, ridotti ormai all’ultimo respiro.